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Jack Painter

CENTRO DI INTEGRAZIONE POSTURALE - RIMINI

JACK PAINTER (1933 – 2010)

Professore di filosofia, direttore dell’International Center for Release and Integration in California U.S.A. ha insegnato da più di 30 anni il lavoro sull’unità corpo-mente in Canada, Messico, Stati Uniti ed Europa. Ha creato varie forme di lavoro corporeo: Integrazione Posturale, Integrazione Cuore Pelvi, Integrazione Energetica, Integrazione Somatica Avanzata e il Fitness Ritmico.

L’INTEGRAZIONE POSTURALE
Se non conoscete questo metodo potete sorprendervi se vi capita di assistere ad una seduta: incontrerete l’integratore chino su di una persona, che interviene con le mani, le dita o i gomiti mentre la persona emette suoni, si lamenta o addirittura urla o tira calci. Vi potrà capitare di vedere l’integratore che lavora molto dolcemente: culla, sorregge, massaggia la persona incoraggiandola a non ostacolare il respiro o anche ad entrare in un dialogo che chiarifichi sentimenti ed idee. 
Che senso potrete ricavare da questo ? Potrebbe sembrare che si tratti addirittura di un culto, di un rituale o di una perversione. Ma se riconosciamo che resistiamo al cambiamento sia corporeo che mentale, possiamo iniziare a comprendere il bisogno di strategie diversificate per trasformare entrambi gli aspetti. 

L’Integrazione Posturale è un lavoro corporeo in cui si spostano strati di tessuto e si riorganizza il sistema muscolare. Questo procedimento non é lavoro corporeo nel senso restrittivo in cui il corpo viene trattato separatamente dalle emozioni e dalla mente, ma é corporeo nel senso in cui il corpo è la forma tangibile, immediatamente accessibile del “corpo” e della “mente”. Il potere straordinario dell’Integrazione Posturale risiede nella volontà del cliente e dell’integratore di lavorare su diversi livelli nello stesso momento: mentre incontro il corpo con le mani ed allento le tensioni muscolari profonde, guardo il cliente negli occhi. Mentre applico pressione con le mani, gli chiedo di condividere con me attraverso suoni, movimenti e parole ciò che sta avvenendo, ciò che sente, percepisce e pensa. Mantenendo questo contatto, questo aperto condividere, l’integratore può mantenere la flessibilità necessaria a variare le enfasi nel lavoro e per andare incontro all’insieme dei cambiamenti nelle richieste della persona. 
L’integratore ed il cliente insieme a volte lavorano col tessuto continuamente riconoscendo l’unità fisica, emozionale e conoscitiva del procedimento. Si potrebbe comunque obbiettare che un cambiamento fondamentale del proprio essere deve implicare più di un condividere momentaneo per quanto completo esso sia. 

L’integrazione posturale non è un semplice sollievo momentaneo, ma un processo guidato dall’integratore, passo dopo passo, allo scopo di:

1) Lavorare sul sé superficiale e sul sé profondo.
2) Regolare e bilanciare il livello di energia.
3) Assimilare e comprendere i cambiamenti in atto.
4) Rilasciare l’interno e l’esterno.

Il nostro sviluppo è una storia di risposte apprese, molte delle quali noi trasformiamo in abitudini rigide per proteggerci verso il dolore, ma che impediscono anche la nostra completezza e spontaneità. Le prime abitudini nate nella vita, formano il nucleo della resistenza. Durante il trauma di cui facciamo esperienza al momento della nascita già formiamo configurazioni protettive. Rinforzeremo poi questo nucleo protettivo nei conflitti delle fasi orale, anale e genitale del nostro sviluppo. Entro i tre-quattro anni abbiamo già completamente sviluppato le nostre posture caratteristiche, i nostri modi di evitare il dolore.
Il resto della nostra vita è di solito un rinforzare questo nucleo, anni di risposte protettive accumulate in questo modo. Quantunque il nucleo sia la parte più resistente, è anche la più vulnerabile al dolore intenso: anche questa parte erige una chiusura protettiva.
Lo strato esterno invece, a mò di conchiglia, ci permette di rischiare di più: se ci facciamo male superficialmente, restiamo protetti a livello interno.  Noi manteniamo questa divisione basilare tra superficie e nucleo in molte maniere e forme:
a livello fisico può essere che abbiamo molto sviluppati i muscoli più esterni del corpo,
quelli che sono definiti, anatomicamente, muscoli estrinseci. Questi sono i potenti muscoli della locomozione, che determinano i movimenti del correre, del sollevare e del lanciare.
Può darsi che abbiamo sviluppato questi muscoli esterni notevolmente, allo scopo di superare i nostri problemi attraverso forza e potere puri e semplici, ma nel proceso soffochiamo i nostri muscoli interni, gli intrinseci, che sono quelli che danno inizio e coordinano il movimento.
Questo sbilanciamento tra una supericie dura ed un nucleo soffice, nei casi estremi, rende muscolarmente nodosi e maldestri. A livello emozionale può darsi che si sviluppi la sensazione che se le nostre vite sono sufficientemente attive esteriormente, anche la nostra vita interiore sarà suffucientemente attiva. Se diveniamo coscienti dell’eccessivo sviluppo dell’esterno di noi stessi, della dura conchiglia protettiva che ci siamo creati, possiamo tentare di ammorbidirla, lavorando gradualmente dall’esterno verso l’interno. Una delle strategie più frequentemente usate nel lavoro corporeo profondo, é lavorare appunto a partire dalla conchiglia procedendo verso il nucleo.
In questo lavoro, il corpo viene considerato come una cipolla dai molti strati: allo scopo di rendere accessibili gli strati interni, bisogna prima intervenire su quelli esterni. Possiamo comprendere questo approccio alla corporeità se per un attimo guardiamo la natura e l’assetto del tessuto che viene manipolato: i muscoli del corpo sono avvolti in buste composte di tessuto plastico chiamato fascia. Questo materiale organizza e fa da guida, dando forma ad un sistema composto di strati di tessuti. All’esterno del corpo abbiamo uno strato esteso che avvolge il corpo totalmente come un gran sacco.
Andando più in profondità, incontriamo avvolgimenti individuali per ciascun muscolo.
Allorché sviluppiamo schemi di comportamento emozionale e fisico rigidi, questo sistema di fascia diviene meno flessibile, creando ristrettezza nei nostri movimenti e nel nostro atteggiamento in generale. La strategia consiste nel’ammorbidire e riorganizzare dall’esterno verso l’interno quelle parti del sistema fasciale che sono divenute dure ed incollate. Ciò restituisce mobilità e bilanciamento ai muscoli avvolti dalla fascia.
Ciononostante, noi abbiamo scoperto che, se con questo criterio cominciamo a lavorare dall’esterno per rendere più accessibile l’interno, tendiamo a trascurare che la nostra corazza sottilmente sposta le sue difese: la tensione che liberiamo superficialmente, può semplicemente spostarsi verso parti più protette e più profonde. Naturalmente è importante rispettare i tempi in cui una persona riesce a trasformarsi e ad assimilare il cambiamento: spesso l’integratore si indirizzerà ai piani superficiali esterni della fascia e solo dopo, gradualmente, andrà più in profondità. Ciononostante, allorché avviene una trasformazione reale, non é solo l’esterno che cambia. Anche l’interno è simultaneamente sottoposto ai cambiamenti corrispondenti.
Allorché cominciamo a lavorare suigli strati superficiali di tessuto, coordiniamo questo lavoro con un movimento dei muscoli intrinseci come ad esempio un lento basculamento delle pelvi o movimenti corti ed accennati della colonna vertebrale. Inoltre, mentre lavoriamo con la muscolatura estrinseca ed anche con i sentimenti e le attitudini più esterni, potremmo anche lavorare simultaneamente all’interno della bocca, che contiene alcune delle più profonde strutture, emozioni ed attitudini del corpo. Invece che trattare il corpo-mente come una cipolla a molti strati, possiamo cominciare a vederlo come una massa vibrante malleabile, meno viscosa in alcune parti che in altre, ma composta della stessa sostanza circolante dall’esterno all’interno e dall’interno all’esterno.
Allorché toccati a qualsiasi livello o profondità, noi possiamo istantaneamente rispondere, ri-formandoci in tutte le altre dimensioni e parti.

Carica e scarica
Un altro modo attraverso cui ci corazziamo e ci difensiamo è trattenendo o dissipando completamente la nostra energia, la nostra forza fisica, i nostri sentimenti ed i nostri pensieri. Da un lato si può essere muscolosi, ma incapaci di fluire con questa possanza potenziale; si può essere rigidi e rifiutare di esprimere la rabbia che si é accumulata; o ci si può proteggere con opinione caute. Dall’altro ci può essere la tendenza a dissiparsi, senza dare a sé stessi la possibilità di recuperare. Si può collassare nell’esaurimento completo; o si possono esprimere i propri sentimenti e pensieri senza alcun controllo o senso del limite.
A questo punto possiamo esplorare nuovi movimenti, nuovi sentimenti ed attitudini finché anch’essi diventano abituali e possano essere modificati attraverso comportamenti spontanei. Possiamo paragonare questa attività a caricare e scaricare una batteria. Allorché costruiamo e nutriamo la nostra forza, sentimenti ed atteggiamenti, immagaziniamo energia; allorché ci esprimiamo, liberiamo questa energia immagazinata. Questo accumulo di energia, la sua scarica e la sua ricarica sono un ciclo continuamente ripetuto. Se ci rifiutiamo di scaricare, diventiamo tesi, con l’energia eccessiva trattenuta. Permettere al ciclo di carica e scarica di fluire, in tutte le attività del corpo-mente, dà una direzione naturale alla vita.
Questo ciclo di carica e scarica coinvolge sia il vecchio che il nuovo. Io accetto ed uso le mie abitudini ed i miei atteggiamenti passati ma sono libero di essere spontaneo. Ogni movimento, ogni emozione, ogni idea prende lo spazio e l’energia che gli sono necessari a completarsi, ma non blocca l’attività del momento successivo. Per esempio, mentre comincio a sentire la mia rabbia, ho bisogno di tempo per permettere all’irritazione di crescere, di tempo perché la mia energia possa crescere.
Mentre la mia rabbia cresce, ho bisogno di tempo per esprimerla pienamente, per permetterle di scaricarsi. Se il crecere della mia irritazione o del culmine della mia rabbia è interrotto, resto bloccato in uno stato di frustrazione. Oppure se continuo ad esprimere la mia rabbia, finché diventa un’ira senza senso, mi blocco e mi esaurisco.
La nostra respirazione é la chiave per mantenere un bilanciamento fluido tra la carica e la scarica dell’energia. Se prendiamo troppo, accumuliamo energia senza spenderla pienamente. D’altro lato, se espelliamo l’aria con un esalazione estesa e contratta, ci “svuotiamo”. Un modo attraverso cui si può liberare questa corazza é spostare l’enfasi da quella parte del respiro che è esagerata e concentrasi su quella che é trascurata. Se l’espirazione è eccessiva, se c’è troppa scarica, è importante ammorbidire e rallentare l’espirazione, e nello stesso tempo sostenere un inspirazione più profonda soprattutto in quelle zone del petto, dell’addome o della schiena dove è carente.
Al contrario, quando l’inspirazione é eccessiva, é necessario spostare l’attenzione dal respiro profondo ad un espirazione più piena, spesso incoraggiando un po’ di sforzo e l’emissione di suoni. 
Menre la carica e la scarica dell’energia cominciano ad equalizzarsi, l’integratore incoraggia ciò che chiamiamo “respiro spontaneo”, un movimento vibrante ed imprevedibile dell’intero apparato respiratorio ed eventualmente dell’intero corpo. Questo genere di energia a correnti è essenziale per scoprire e matenere buon equilibrio e flessibilità. Mentre l’integratore entra con le mani nel tessuto, gambe, cosce, pelvi e testa cominciano ad ondulare insieme a respiri vibranti nel petto:
l’energia liberata in ciascuna espirazione ritorna in ciascuna ispirazione. 

Accettare e comprendere
L’integratore é estremamente attento a percepire quanta pressione potete tollerare in un dato momento. E’ necessario infatti lavorare al confine tra un massaggio rilassante ed un ingresso più profondo, a volte leggermente doloroso, nel tessuto. Se la pressione è troppo leggera, niente di nuovo è evocato; se è troppo profonda o rapida, la corazzatura finirà col rinforzarsi. E’ necessario che vi confrontiate con la vostra corazzatura ma ad un ritmo che gradualmente vi permetta di assimilare ed esplorare ciò che accade. Durante tutto questo, l’integratore può aiutarvi a comprendere passi importanti da intraprendere nel processo di assimilazione di quest’esperienza. Sia che la corazzatura prenda la forma di una dura difesa, sia di un soffice cuscino, é sviluppata agli inizi come un sistema per evitare dolore ed insoddisfazione, ma diventa il sistema abituale attraverso cui, inconsciamente, rimaniamo attaccati e fissati al dolore. Avere esperienza di questa corazza significa liberarci da atteggiamenti e posture del passato, ma ciò in nessun senso significa evitare o distruggere la nostra singolare storia personale. Incontrare la nostra corazza é un processo preciso nel quale ci liberiamo dal nostro passato e nello stesso tempo lo rendiamo parte di noi. Allo scopo di essere liberi
dalla nostra corazza non solo dobbiamo contattarla e riconoscere il suo ruolo, nella nostra vita, ma dobbiamo anche accettarla ed appropriarcene come parte di noi. 
Spesso ci rendiamo tanto insensibili che diventiamo totalmente incoscienti delle nostre difese e ci creiamo continuamente un ambiente in cui non corriamo il rischio di incontrare mai i problemi. Ogni cosa è attentamente resa sicura e senza interesse. La prima condizione della trasformazione è sentire e percepire la nostra incompletezza, essere frustrati. Durante la fase di liberazione arriva un punto in cui il cliente inizia a fare esperienza di questa resistenza al cambiamento. Senza questo primo passo, nessuna manipolazione del tessuto, respirazione profonda, movimento guidato, affermazione può portare ad una liberazione apprezzabile e definitiva dalla corazzatura psicosomatica. Il secondo passo nell’esperienza di liberazione é il riconoscimento o l’accettazione che la frustrazione e questo senso di incompletezza costituiscono il problema stesso. Fino a che la mamma, il babbo o la società fungono come capro espiatorio, io resterò incollato, bloccato anche se sono cosciente che io ho un problema. Ugualmente, se è quel mal di schiena o quel mal di piedi che mi controlla,
io non ho ancora accettato o riconosciuto la mia corazzatura per quello che è, cioé la mia difesa contro me stesso. La liberazione che io sento nel lasciar andare la mia corazza non è un evento misterioso in cui i miei pesi vengono sollevati da una misteriosa forza. Mentre l’integratore interviene sul mio corpo, c’è bisogno che io abbia la volontà di dire “io sto opponendo una resistenza”.
Con questo riconoscimento é possibile che io cominci a sentire la mia lotta con me stesso o cominci semplicemente a notare la mia resistenza. Infine, come ultimo passo nel processo di lasciare andare la mia corazzatura, è necessario che io mi appropri della mia incompletezza, del mio dolore, della mia insoddisfazione e li affermi in quanto
parti ben accettate ed importanti di me stesso. Solo ora che mi sento responsabile nella creazione del mio dolore lo accetto anche come una parte vitale e di valore per me. Qui c’è un apparente paradosso: nel momento che realmente accetto un mio atteggiamento non voluto ne divento libero.
Per esempio, se accetto il mio odio per mio padre, l’odio diventa completo, intero e potente e sono pronto per altri sentimenti. Ora che odio mio padre posso anche pienamente amarlo. Il dolore che emerge dal lavoro profondo sul tessuto é trasformato: non é più dolore immaturo ma una parte riconoscita ed accettata di me stesso che non é più nemmeno semplice dolore,piuttosto una liberazione da una vecchia ferita. Io mi libero del mio passato facendolo diventare una parte accettata di me.
L’integratore incoraggia a prendere contatto completo con ciò che accade, a confrontarsi e ad appropriarsi di ogni parte di sé stessi. In questo modo i vecchi dolori bloccati si trasformano in nuove esperienze libere. Sviluppiamo una coscienza che non tratta i nostri corpi come oggetti da essere manipolati ed analizzati. In molti dei modelli classici occidentali della coscienza, essa è localizzata in un luogo, “qui”, mentre l’oggetto è localizzato “lì”. Noi tentiamo di ampliare la nostra attenzione, in condizioni controllate, analizzando parti diverse di un oggetto o di un evento.
Secondo questo modo di vedere io vedo il dolore nella mia schiena come un problema da studiare in quanto effetto di cause che spero possano essere eventualmente eliminate e comprese; ma questa separazione del dolore da me é il problema, lo costituisce. Finché tratto il dolore come qualcosa che mi é estraneo, mi corazzo contro la possibilità di esplorare genuinamente il dolore ed esserne liberato.
Sia la visione della coscienza della gestalt che quella dello Zen chiarificano come l’esperienza della liberazione sia un processo di appropriazione di parti di noi stessi dapprima estranee.
Nel momento in cui contatto pienamente, accetto, mi approprio di una parte di me stesso, non sono più semplicemente cosciente di essa, in quanto oggetto separato, ma io divengo l’oggetto.
Nello Zen io mi fondo totalmente con l’oggetto: io sono sia l’osservatore che l’osservato.
Nella terapia gestalt io illumino lo sfondo, parzialmente inconscio della mia esperienza,
lasciando che la parte insconscia di me parli.
Appena il terapeuta incontra la corazza ben sviluppata della mia schiena io sento il contatto, accetto la mia resistenza verso ciò che giace profondamente entro di me e finalmente comincio ad accettare come mia la parte bassa della schiena, standoci dentro, essendoci dentro, parlando da lì a me stesso: “Io faccio male, devi rallentare il ritmo quotidiano e darmi l’attenzione che merito”.  Anche se questo dialogo non va oltre, ho già cominciato a liberare la difesa inconscia che è depositata nella mia schiena. Ma questo dialogo può continuare; non solo posso liberare le mie parti corazzate, ma, attraverso le parti ora liberate, posso comunicare con altri aspetti di me che necessitano di cooperare l’uno con l’altro, sperimentare nuovi movimenti, sentimenti e pensieri.
Un altro modo di comprendere l’esperienza dell’essere liberati dalle nostre attitudini e posture passate è guardare al dolore che emerge come ad un evento speciale e portatore di trasformazione nel sistema nervoso. Secondo una delle più accettate teorie sulla natura del dolore, la teoria della specificità, un semplice stimolo esterno alle terminazioni nervose del tessuto del muscolo procura una risposta condizionata generale percepita come dolore, ma questo non tiene conto del diretto contributo del tessuto locale e della sua memoria, all’esperienza del dolore.
Ciò che è percepito come dolore dipende, non soltanto dalla risposta del cervello, ma anche da come il tessuto locale permette allo stimolo di essere ricevuto nel sistema. La teoria della specificità non considera adeguatamente il ruolo della corazzatura e della sua liberazione nell’abbassare o innalzare la soglia e determinare la reattività allo stimolo. Un modo alternativo di considerare il dolore é vedere il sistema nervoso come un unità reciproca in cui cambiamenti in una sua parte agiscono in tutte le altre. L’attività nervosa generale allora non è soltanto controllata dal tronco del cervello ma anche centri più bassi giocano un ruolo critico. In questa visione, il sistema nervoso è considerato come un dispositivo complesso di soglie che si aprono e chiudono allorché gli stimoli attraversano i recettori locali: ciò che sento localmente non dipende semplicemente dalla risposta del solo cervello ma anche da come il tessuto locale controlla queste soglie. E’ come se le soglie in un data parte fossero “predisposte” da un esperienza precedente dolorosa, da una corazzatura protettiva, che congela il tessuto del muscolo e intorno al muscolo. 
Se la corazzatura dovesse essere considerata permanente ed inalterabile, la teoria della specificità dello stimolo semplice e della risposta potrebbe giustificare molto del nostro comportamento “bloccato”, poiché le soglie rimarrebbero nelle loro posizioni abituali e la loro influenza sarebbe sempre la stessa. Comunque, durante il processo della liberazione della corazzatura attraverso il lavoro corporeo profondo sembra che siamo in grado di “riaprire” alcune delle soglie precedentemente predisposte dalle nostre esperienze. In questa visione, mentre il terapista penetra le difese del corpo, il tessuto è ristimolato e il cliente può sentire i ricordi, gli eventi contenuti e trattenuti nei muscoli.
Sembra che, quando abbiamo la volontà di rifare esperienza piena del nostro dolore passato, iniziamo un processo di permanente, reale dissoluzione anche della nostra più antica e caparbia corazzatura. Da quel momento in poi, le soglie non sono più predisposte dalla nostra corazza ma sono libere di essere risistemate per nuovi generi di esperienze integranti.
L’integrazione posturale allora è un completo processo attraverso cui possiamo scoprire l’unità del nostro essere interno ed esterno, trovare un livello bilanciato per caricare e scaricare l’energia e riconoscere il nostro passato e l’esperienza presente. L’integrazione posturale può essere concepita come un processo in dieci fasi, in cui ciascuna parte del corpo-mente è liberata dalla sua corazzatura ed integrata nell’intera struttura. Durante le prime sette fasi le gambe, le pelvi, il torso, il torace, le braccia e la testa sono liberati completamente e profondamente. Nelle tre fasi finali vengono accuratamente messi in relazione armoniosa gli uni con gli altri. Allorché la nostra corazzatura difensiva di base si dissolve, un fenomeno di rilievo accade: il tessuto corporeo diventa marcatamente più soffice, di consistenza più regolare, più malleabile.
Ciò può essere apprezzato dallo strato dei muscoli superficiali fino a quello degli intrinseci e del tessuto profondo che li avvolge. Con questa liberazione, il corpo comincia a trovare nuove proporzioni: fianchi ampi diventano più compatti, toraci piccoli si espandono, torsi si allungano, volti si rilassano, glutei si riempiono e si arrotondano. In alcuni casi si può crescere fino a quattro cinque centimetri in altezza ed allargare il petto di sei sette centimetri di circonferenza. Contemporaneamente, le emozioni ed i pensieri divengono più flessibili. Si riesce a piangere, ad urlare, a ridere, a cantare, a lamentarsi più facilmente ed i pensieri irrompono liberati dai loro vecchi limiti. Nella fase finale del processo, l’integratore aiuta a stabilizzare il respiro a distribuire l’energia, ad armonizzare e a rendere più coscienti dei movimenti del corpo, a rindirizzare le nostre emozioni e i nostri pensieri. Si tratta di un esperienza intensa che dona un nuovo orientamento:
non significa che non avremo più difficoltà o non sentiremo più tensioni; c’é un bisogno continuo in noi di esprimere le nostre angosce e le nostre frustrazioni. Ora potremo più facilmente riconoscerle, affrontarle e lasciarle andare.

Jack W. Painter 
Copyright 1984

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Jack Painter

Intervista a Jack

Il corpo non influenza la mente e la mente non influenza il corpo, sono la stessa cosa”
“Ci si muove e si pensa sia con la mente che con il corpo”

Da oltre 30 anni Jack Painter ha insegnato e praticato il lavoro corpo-mente. E’ il creatore dell’Integrazione
Posturale, Integrazione Energetica, Integrazione Cuore Pelvi e Fitness Ritmico. Propone seminari e
prepara professionisti, insegna a chi intende creare gruppi e a supervisori. Attualmente è il Direttore dell’
International Center for Release and Integration (San Francisco). I suoi libri Massaggi o Profondo e
Sviluppo personale e Manuale Tecnico di Lavoro Corporeo Olistico sono riconosciuti ed utilizzati a livello
internazionale. Le sue tecniche si focalizzano sul rilassamento delle tensioni tramite massaggi profondi
per ammorbidire le fasce indurite del corpo. Acquisendo maggiore fluidità il corpo è in grado di rilassarsi
da atteggiamenti ed emozioni latenti che lo hanno irrigidito. Altra tecnica utilizzata è quella della carica
e scarica del respiro, nel caso in cui le parti bloccate del nostro carattere fossero trattenute intorno agli
occhi, bocca e gola, petto, diaframma, ombelico e bacino. Ogni persona differisce per postura (atteggia-
mento fisico, movimenti) perché ha vissuto esperienze e sentimenti che lo contraddistinguono da tutti
gli altri e gli hanno segnato il corpo e la mente. Quindi ogni persona è fisicamente storta a causa
dei traumi che ha vissuto. Quando, invece, siamo liberi di esprimerci il corpo è flessibile e leggero.

– C’è un’età in particolare in cui rimaniamo più segnati dai traumi?

“Sia sul bimbo che sull’adulto la reazione è la stessa, le stesse problematiche hanno solo nuovi livelli
e nuovi nomi, ma sostanzialmente rimangono le stesse. Per esempio la bimba in età puberale è spesso
molto agitata. Questo perché si sente in competizione con la mamma, il suo cuore tende sempre al babbo.
Deve capire come diventare una donna, deve trovare la sua femminilità, e mostrarla all’uomo. Da piccola
tende al babbo, da grande cerca la sua femminilità con gli uomini. Il ragazzino, invece, deve diventare
“il bravo ragazzo”. Questo atteggiamento, quando diventa grande si evolve nella sua costante ricerca
di primeggiare”.

– Come si sciolgono le tensioni?

“Ci sono programmi nel nostro corpo, che si muovono e si evolvono con il massaggio tattile. Se entriamo
nel corpo molto lentamente e con grazia, sciogliamo i muscoli ma anche i pensieri: allungando la spina
dorsale ci si sente più distesi e ci si controlla meglio. Oppure attraverso la Miofascia- massaggio più lento
e profondo, che permette alla persona di essere libera di esprimersi e respirare al tempo stesso. Si riesce
ad andare anche con il respiro in profondità, e si ricordano traumi infantili. Entriamo in profondità nel
corpo per risvegliare le prime esperienze dai tessuti, e lasciamo che l’infanzia riemerga”.

– Come avvengono gli incontri?

“Lavoriamo su tutti i livelli corporei: vengono connesse le emozioni con le fasce muscolari: il confronto
può essere doloroso ma è anche liberatorio. La gente sente subito una forte necessità di esprimersi
dopo un massaggio: la pelle si distende, si piange o ci si arrabbia ma c’è anche molta soddisfazione
nel lasciare esprimere le emozioni. Alla fine del lavoro di gruppo si alza una grande energia, dato che
ognuno ha il suo respiro che esce, cresce gradualmente e diviso in blocchi”. Come si riconosce una
persona che ha subito un trauma in una certa locazione? “Se una persona rimane curva su se stessa,
per esempio, può essere un atteggiamento di protezione, e al contempo se prova a stare dritta da sola
non riesce, invece con la tecnica miofasciale riesce a rimuovere il motivo che la fa stare così. È un modo
per capire il problema legato alla flessibilità. La flessibilità con cui posso tornare nella situazione
di blocco, ma posso anche sbloccarla”.

– Come agisce la tecnica cuore/pelvi?

“Lavora più sul flusso di energia tra la relazione cuore e le parti sessuali. Il rapporto tra le due componenti
è il risultato del rapporto che abbiamo avuto con i nostri genitori durante il periodo infantile/puberale.
Durante l”infanzia ci deve essere un rapporto di perfetto scambio tra padre, madre e figli. Il padre deve
essere comprensivo e presente nel caso della bambina, che riceve l’impulso sessuale dalle pelvi al
cuore in modo che il flusso emozionale sia libero. Nel caso del figlio maschio, è la madre che deve
essere figura presente per fare in modo che il flusso del ragazzo (che al contrario parte dal cuore e
finisce alle pelvi) segua il giusto ciclo. Nel caso ci siano problemi di relazione con i genitori, nei figli
nascono squilibri emozionali che poi si portano avanti per tutta la vita”.

– Può citare un esempio?

“La donna che cerca nel partner il padre assente, o l’uomo la donna che non lo critica”.

– Anche la strana attrazione delle donne per l’uomo che non le desidera può essere un risultato?

“Certamente. Quando le due parti, la maschile e la femminile, all’interno dell’individuo sono sbilanciate,
avviene all’interno dell’organismo un’esigenza di ricerca continua di partner, specialmente di persone
che non ci vogliono. La donna che invece ha avuto il padre assente, è molto arrabbiata con gli uomini.
La donna che viene violentata, invece, diventa una persona che deve esprimersi al di fuori del suo corpo.
Il corpo, che è sempre in dialogo con se stesso, avverte che una parte è stata violentata, e la compensa
con un’esigenza di voler violentare, anche verbalmente il prossimo”.

– C’è una parte del corpo in cui viene recepito il trauma più di altre?

“Ogni trauma viene cristallizzato in modo particolare in un punto del nostro corpo, ma poi sono tutte
le parti , che sono in sintonia tra loro a subirne le conseguenze”.

– I suoi corsi sono solo rivolti a terapeuti o ad esperti del settore?

“I partecipanti ai miei corsi, non devono essere esperti, ma il requisito fondamentale è che almeno
vogliano diventare esperti”.

– Quali sono le difficoltà con gli italiani?

“Gli italiani sono molto avanti perché usano molto il corpo, e si fidano del loro corpo come strumento
di pensiero, al contrario degli svizzeri e dei tedeschi, che invece pensano molto prima di muoversi,
ragionano sui movimenti. Gli italiani si affidano più facilmente, di conseguenza partono avvantaggiati,
più sciolti. I tedeschi devono imparare ad aprirsi”.

– Perché ha scelto Rimini?

“Molti anni fa venni in Italia, e incontrai molte persone che potevano essere coinvolte in questo metodo,
ma anche in varie parti d’Europa mi è capitato di lavorare su molte persone di Rimini, tra cui Gilberto
Bianchi che divenne un professionista praticante e mi invitò. Io incoraggio il corpo a pensare e sentire,
e gli italiani, specie i romagnoli, sono molto avanti in questo, hanno molto potere in se stessi, e molta
forza nell’esprimersi”. 

(intervista raccolta da Eva Micucci, pubblicata su “Chiamami Città” Rimini)